Noi, i ragazzi di Genova 2001, avevamo ragione e lo sapevano

avevamo-ragione-noi-genova-620x430dalla Voce di New York – Cose dell’altro mondo

di Tommaso Della Longa

Un romanzo brutale che racconta una brutale realtà. Un racconto onirico che colpisce al cuore e allo stomaco, perché non si tratta di un horror ma della cronaca di giornate macchiate dal sangue e dalla violenza. Un viaggio catartico che ci fa tornare a quindici anni fa e ci porta, mano nella mano, per le strade di quella Genova del 2001 durante quel maledetto G8 in cui le forze dell’ordine uccidono Carlo Giuliani, manganellano manifestanti in molti casi inermi, massacrano e torturano centinaia di persone tra la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto. “La scrittura per me è espiazione, è un modo per far venire fuori il veleno dei gas lacrimogeni CS (arma da guerra vietata dalle convenzioni internazionali nda) che ci sparavano addosso: ho vomitato fuori tutto quello che dovevo dire, questo libro è la confessione di una persona laica, un’esigenza morale e storica di dover raccontare i fatti di Genova del 2001”. A parlare è Domenico Mungo, classe 1971, insegnante, ricercatore di storia contemporanea e antropologia sociale all’università di Torino, giornalista, ma soprattutto scrittore che ha appena dato alle stampe la sua ultima opera, Avevamo ragione noi, storie di ragazzi a Genova 2001 (Eris edizioni, 2016).

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L’autore Domenico Mungo a Genova con Haidi Giuliani, madre di Carlo Giuliani

Domenico Mungo non è certo un autore politicamente corretto, ma è uno di quelli che in maniera ruvida, forte e diretta, figlia di una cultura post-punk e di un melting pot di stili e generi, racconta quelle storie che non troverete in prima serata e che il più delle volte non vorrete neanche leggere. Perché? Perché fanno male, parlano di inquietudini, sogni, lotta, amore, consapevolezza, violenza. Insomma molti dei temi che sono semplici da giudicare puntando il dito contro quelle categorie sociali che sono facilmente indicabili come nemici: gli anarchici, i movimenti, gli ultras. “Questo libro è la fine di un percorso iniziato nel 2003 con l’orrore, raccontato in Sensomutanti (Tirrenia Stampatori e poi nel 2008 Boogaloo Publishing) e proseguito con la disillusione nella raccolta di poesie Avevate ragione voi (Zona editore, 2010). La trilogia doveva finire con questo scritto, il cui primo titolo doveva essere Agì consapevole, rifacendosi a una poesia che Carlo Giuliani avevano scritto ben prima di morire. Poi abbiamo voluto riprendere il titolo della raccolta di poesie declinandolo in prima persona plurale: dopo quindici anni possiamo finalmente dire che avevamo ragione noi, le nostre rivendicazioni erano corrette e anzi il mondo oggi sta finendo anche peggio di quanto immaginassimo”, spiega Mungo.

copertina avevamo ragione noiNel libro, il lettore entra in fiume in piena e finisce in una serie di vortici che raccontano le manifestazioni di piazza del G8 di Genova e la violenza. “E’ un libro autobiografico ma è anche un racconto condiviso frutto dei racconti dei miei amici e compagni. Sembra una scenografia di un film splatter, ma purtroppo è tutto vero. Ero lì, ho attraversato quelle strade, ho visto quello che è successo: questo romanzo è il mio contributo alla memoria, per tramandare la storia. Non è possibile che in tantissimi non sappiano cosa sia successo nel 2001 e che praticamente tutti pensino che sia stato solo un gran casino, fatto di scontri e devastazioni. A Genova c’era mezzo milione di persone, se non di più. Si andava dai centri sociali alle suore, passando per la rete Lilliput, le associazioni cattoliche, i sindacati, i partiti politici, le associazioni ambientaliste. C’erano delle rivendicazioni serie, si immaginava un mondo diverso, non si può ridurre tutto solamente alla violenza”. Il libro è un romanzo, dove l’allegoria la fa da padrone: in uno dei capitoli si trova il racconto minuzioso della mattanza dei tonni, dove però si può ritrovare quello che i manifestanti hanno dovuto subire in molti punti di Genova.

Mungo non si tira indietro nel racconto della violenza del famigerato blocco nero, anzi in qualche modo spiega il motivo delle devastazioni di certi simboli e di certi attacchi mirati a banche, agenzie di lavoro interinale, multinazionali e anche il carcere di Marassi.

“Lo sappiamo tutti, l’anarchico in quanto tale per secoli ha prestato il fianco alla strumentalizzazione. L’anarchico è il cattivo per eccellenza e in tanti momenti storici è stato usato come capro espiatorio. Il mio anarchismo è consapevolezza ideologica, dove non si esclude la violenza nel conflitto sociale. Bisogna mettere a fuoco le posizioni insurrezionali: quando in Grecia gli anarchici manifestano contro l’austerity o bloccano la Francia contro la riforma del lavoro, in Italia in molti li guardano con benevolenza, quasi come nuovi eroi anti-sistema. Quando invece si tratta dell’Italia, gli anarchici in piazza sono delinquenti da spazzare via. Anche la sinistra radicale la dovrebbe smettere con la storia dei cattivi maestri e dei due pesi e due misure. A Genova si è trattato di una distruzione simbolica, con il blocco nero che era diventato il feticcio da usare in ogni occasione per la sinistra radicale, ‘i compagni che sbagliano’ e i mass media, ‘la violenza a Genova’. Non si tratta di giustificare, ma dopo quindici anni tutto va inquadrato e contestualizzato”.

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Una delle illustrazioni di Paolo Castaldi che si trova nel libro

Il vero problema, secondo lo scrittore torinese, è l’ignoranza: “Mentre io conoscevo Manu Chao, gli altri non conoscevano per esempio il tecno-teatro austriaco, fatto di anarchici che si vestivano di nero e inscenavano una parata grottesca con tamburi e passo militare. Era una grande provocazione, una sorta di installazione artistica itinerante, dove anche la devastazione di alcuni luoghi aveva un valore simbolico”.  Mungo si definisce un “situazionista” che tende a sdrammatizzare tutto. Il libro riporta in apertura il comunicato degli “anarco-ciclisti” prima di Genova. “In quel testo – spiega Mungo – c’è tutto: si diceva che Genova sarebbe stata una trappola mediatica, preparata per mesi con tutte quegli articoli sui giornali che parlavano di militanti no global kamikaze e addirittura di siringhe preparate con il sangue infetto. E così alla fine è stato: volevano giorni di violenza, tortura e morte e li hanno avuti”.

L’autore nel libro e nell’intervista non lesina un giudizio negativo per il Genoa Social Forum di Casarini e Agnoletto che si sono “arrogati il diritto di rappresentare tutti i manifestanti” e che “hanno fallito su tutto, non riuscendo a difendere i manifestanti né in piazza né successivamente: accettare via Tolemaide come percorso di un corteo con almeno 15mila persone è strategicamente una pazzia ed un modo per mandare alla mattanza le persone. Non aver saputo difendere con tanto di tesserini parlamentari il media center della scuola diaz dall’irruzione brutale delle forze dell’ordine e aver permesso violenze e torture, significa che si è fallito sotto ogni punto di vista”.

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Mungo durante una recente lettura del suo libro sui fatti di Genova 2001

Come ha scritto chiaramente Amnesty International, Genova 2001 è stata la “più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”. Basta fare qualche ricerca su Youtube per vedere teste spaccate di manifestanti inermi per terra, il corpo martoriato di Carlo Giuliani, le cariche contro i pacifisti, i racconti della “macelleria messicana”, come denominata da un commissario di polizia, della scuola Diaz e delle infami torture della caserma di Bolzaneto. Donne e uomini ai quali sono state spaccate teste e costole, che sono state obbligate a pratiche degradanti, che non potevano andare in bagno, che sono state minacciate di stupro, che non sono state soccorse neanche quando vomitavano sangue. Ecco questo libro serviva, non solo all’autore per finire un percorso. Serviva perché viviamo in un Paese dove i responsabili dei massacri sono a piede libero, portano la divisa e hanno fatto carriera. Serviva perché ancora oggi non abbiamo nel codice penale un reato di tortura che avrebbe potuto evitare la prescrizione nei confronti delle forze dell’ordine della Diaz e di Bolzaneto. Serviva perché dopo quindici anni bisogna tenere vivo il ricordo di Genova, chiedendo ancora giustizia e verità sulla morte di Carlo Giuliani e sui tanti, troppi fatti di violenza.

“Noi abbiamo fatto una guerra simbolica, mentre loro, le forze dell’ordine hanno fatto una guerra vera”, conclude Domenico Mungo.

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